Rugby break (XLI) – Australia-Inghilterra

A Perth l’Australia riceve l’Inghilterra e dall’inizio impone la propria legge fatta di ottimo e proficuo possesso.
Il piazzatore designato per gli Aussie è O’Connor ed è proprio lui che sbaglia il primo calcio al nono minuto; 6 minuti più tardi finalmente Australiani in meta con Elson al termine di un autentico dominio fatto di ottime sventagliate al largo e inaugurato dal gran buco di Mitchell.
La prima occasione per gli Inglesi è al 25esimo ma Flood sbaglia il piazzato.
Alla mezzora monta in cattedra Burgess, è lui che fa la differenza nell’azione che porta in meta Copper; prima del finire del tempo gli Inglesi arrivano anche a 5 metri dall’area di meta avversaria ma l’Australia resiste complice una superba difesa.
Lo score del secondo tempo è aperto dal piede di Flood.
Al minuto 50 profondo attacco di Ashton che mette in difficoltà gli Aussie e dalle successive mischie ordinate si arriva alla penalty try che riporta in partita il XV della rosa.
Al 58 è Cooper che incanta: passaggio per Ioane per saltare l’arrembante difesa, sostegno interno e meta del 21 a 10.
Australiani avanti nel punteggio ma soffrono terribilmente in mischia ordinata al punto che Owens deve prima dare un giallo al pilone Ma’afu e poi concedere la seconda meta tecnica, ed è 21 a 17.
Sarà O’Connor nei successivi 8 minuti a mettere in salvo il risultato con due piazzati che sanciscono il 27 a 17 finale.
L’Asutralia mi è piaciuta, Deans ha avuto coraggio e ha schierato O’Connor (1990 all’anagrafe!!!), Rob Horne (1989) e Quade Cooper (1988) ed è stato ripagato ed è stato ripagato anche dalla grande prestazione di Luke Burgess (1987); gli unici problemi son venuti dalla mischia ordinata che è costata ben due mete tecniche.
Inghilterra tanto forte in mischia quanto inconsistente nelle altre fasi del gioco, Flood è sembrato sottotono, Hape al primo cap credo non abbia toccato palla quando forse era da coinvolgere data la differenza fisica con Barnes che aveva davanti e tanti giocatori forse un po’ logori da una stagione comunque lunga come è quella della Guinness, dell’Heineken e del Six Nations

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