Il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto dell’Italia di rugby

michele-campagnaroIl bilancio del novembre dei test match dell’Italia di rugby: le cose positive e quelle negative a 10 mesi dalla Rugby World Cup

Abbiamo perso 2 partite su 3, già questo di per sè non è una buona cosa, in più aggiungiamoci che quella contro i Pumas l’abbiamo persa per qualche errore di troppo e ciò che ne viene fuori è un quadro non particolarmente felice dal punto di vista dei risultati. Constatato ciò ci sono state anche delle cose positive, da cui, probabilmente, dobbiamo partire per costruire una squadra che quantomeno possa fare una discreta figura nel prossimo 6 Nazioni.

Sergio Parisse è ancora un giocatore di classe, si è confermato un leader ed ha risposto coi fatti a quanti non lo vedevano più come il capitano della nostra nazionale.
Michele Campagnaro è sempre più forte, purtroppo temo che sarà uno dei primi a partire nella prossima stagione, ovviamente dico purtroppo perchè per le franchigie italiane sarà una grossa perdita mentre a lui auguro ogni bene.
Luca MorisiLeonardo Ghiraldini, Joshua Furno, Simone Favaro, evitando di citare sempre e solo i soliti noti, sono giocatori su  cui possiamo e dobbiamo fondare la nostra nazionale del futuro.
Abbiamo recuperato Francesco Minto, un giocatore che ci serve e ci servirà come il pane, soprattutto per la sua capacità di giocare in più ruoli.
Coralmente, una delle cose che più mi è piaciuta è stata la difesa, finalmente siamo tornati a difendere ad alti livelli, di fisico, certo ci sono gli errori e i passaggi a vuoto da evitare, però la strada è quella giusta.

Passiamo agli aspetti negativi.
Abbiamo dovuto naturalizzare l’ennesima apertura per colmare una cronica lacuna che evidenzia un grosso problema a livello organizzativo; per altro i casi di Gower e Botes – giocatore tornato in Sud Africa e la cui non convocazione ci ha lasciati pericolosamente corti anche su un altro ruolo chiave qual è il mediano di mischia – avrebbero dovuto insegnarci che non sempre la strada più corta è quella più fruttuosa. In ogni caso “Houston – leggi Federazione – abbiamo un problema (GROSSO)”.
Altra pecca cronica: in attacco facciamo, troppo spesso, veramente fatica: ci affidiamo troppo spesso alle iniziative dei singoli, difficilmente riusciamo a strutturare dei multifase efficaci e il gioco tattico che proponiamo non è da alto livello.

Insomma, senza dover per forza fare di tutta l’erba un fascio, emerge chiaramente il fatto che c’è da lavorare parecchio per essere competitivi anche alla luce dei risultati e delle performance delle altre squadre; chiaro poi ci sarebbe da fare un discorso più ampio per le pecche del nostro sistema ma per questa volta lasciamo stare e limitiamoci a queste considerazioni

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